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Le onde non ionizzanti




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Le onde non ionizzanti


La parte di spettro che corrisponde alle onde non ionizzanti comprende:

  • Onde radio
  • Microonde
  • Infrarosso

Verranno analizzate innanzitutto le caratteristiche generali dei vari tipi di onde, per poi affrontare nello specifico i vantaggi e le problematiche relative all'uso di questo tipo di onde in ambito sia commerciale che di utilizzo in medicina.

Diversi tipi di radiazioni non ionizzanti


Le onde radio

Sono così chiamate le radiazioni elettromagnetiche di frequenza inferiore a circa 10 Hz e lunghezza d'onda non inferiore a qualche metro. Sono chiamate anche onde hertziane e vengono essenzialmente adoperate per le radio-trasmissioni, cioè per la trasmissione dei suoni a distanza. Per la loro notevole lunghezza hanno la proprietà, come i suoni, di superare gli ostacoli; sono quindi essenzialmen­te onde di superficie; nel senso che si diffrangono sulla superficie ter­restre, seguendone, fino a un certo punto, la curvatura. Per trasmette­re queste onde a sufficiente distanza occorre generalmente, a causa dell'assorbimento da parte dei corpi materiali situati sulla Terra, una notevole potenza. Talvolta è possibile aumentare notevolmente la di­stanza di trasmissione, sfruttando la proprietà riflettente della ionosfera cioè di uno strato fortemente ionizzato che circonda la Terra al di sopra dell' atmosfera. Una caratteristica relativa alla denomina­zione delle radiazioni elettromagnetiche è che, quanto più evi­denti sono i fenomeni di diffrazione, tanto meno evidente risulta la propagazione rettilinea associata al concetto di raggio.  


Per questo motivo parliamo comunemente di onde hertziane e non di raggi hertziani, riservando la parola raggio alle radiazioni di piccola lunghezza d' onda.

Questo tipo di radiazione elettromagnetica pervade tutto l'ambiente: onde ra­diotelevisive a tutte le frequenze (comprese quelle della telefonia mobile) da antenne trasmittenti (comprese quelle dei cellulari) e ripetitrici, campi elettrici e magnetici alternati della rete elettrica originati da d.d.p. alternate comprese tra 220 V e decine di migliaia di volt, emissione di onde dalle antenne radar in prossimità di aeroporti e basi militari, generatori di corrente elettrica alternata e dispositivi ­simili impiegati nell'industria.

Dunque l'ambiente è costantemente permeato da queste radiazioni che non sono ionizzanti, che cioè  non hanno energia sufficiente per estrarre gli elettroni dagli orbitali atomici; hanno effetti biologici solo in caso di intensità di campo elettrico particolarmente elevate. Per cia­scun tipo di onde è stato definito un limite per l' esposizione espresso in watt/m² e variabile a seconda delle sorgenti.


Microonde

Si chiamano microonde quelle radiazioni comprese nello spettro elettromagnetico fra le radio-onde e l'infrarosso di frequenza compresa fra 10 Hz e 10 Hz e lunghezza d'onda che varia dai decimetri ai millimetri. Si ottengono quasi esclusivamente per mezzo di speciali tubi elettrici (klystron, magne­tron, ecc.) in cui si sfruttano le interazioni tra un fascio elettronico e l'onda elettromagnetica emessa da un generatore, in modo che la cor­rente elettrica incrementi la potenza dell'onda da inviare.

Le microonde sono principalmente adoperate per radio-trasmis­sioni direzionali, atte cioè a inviare segnali in una data direzione. Di­minuendo infatti la lunghezza d'onda, incominciano a divenire meno evidenti i fenomeni di diffrazione; le microonde, come la luce, non gi­rano per così dire intorno agli ostacoli, in genere troppo grandi ri­spetto alla loro lunghezza d'onda, ma vengono fermate e in parte ri­flesse da essi. L' onda emessa dall' emittente, generalmente confinata in un piccolo angolo di apertura, si propaga quasi in linea retta, fino alla cosiddetta portata ottica.










Per accennare molto sommariamente a qualche notevole applicazione delle microonde, si può citare: il radar, la televisione, i servizi telegrafici e telefonici.

La tecnica utilizzata presenta alcuni notevoli vantaggi rispetto agli altri tipi di trasmissione. Infatti l'energia chiesta per la trasmissione è generalmente minima, in quanto, trattandosi di onde direzionali, esse non vengono disperse in tutte le direzioni dello spazio. Inoltre il costo d'impianto è molto minore, non solo rispetto alla trasmissione a filo (si risparmiano i fili di conduzione),  ma anche rispetto alle potenti stazioni trasmittenti di radioonde. Infine si ha il vantaggio della segretezza, poiché il messaggio è intercettabile solo lungo il percorso del raggio. L'unico inconveniente è che le microonde hanno un raggio d' azione limitato alla portata ottica; si rende quindi necessaria, per coprire una notevole distanza di trasmissione, una successione di stazioni a visibilità geometrica fra loro (tecnica dei ponti radio).


Infrarosso

Sono dette infrarosse le radiazioni di frequenza compresa fra 10 Hz e 10 Hz, corrispondenti a lunghezze d'onda variabili da qualche millimetro a qualche micron.

Queste radiazioni sono prodotte in notevole misura dai corpi caratterizzati da temperatura nell'ordine di qualche centinaio di gradi Kelvin e sono spesso generati dalla rotazione e dalla vibrazione delle molecole, che ruotando e vibrando più vigorosamente comportano un aumento di temperatura. Reciprocamente, la loro frequenza è adatta a mettere in vibrazione le cariche dei corpi che esse investono e, pertanto, questo tipo di radiazione si trasforma, con grande efficienza, in energia termica dei corpi investiti solidi e liquidi.

A causa della loro lunghezza d'onda relativamente grande, sono invece sono poco assorbite dall'atmosfera e persino dalle particelle di nebbia e smog.

Questa caratteristica le rende molto adatte a essere impiegate per indagini che sarebbero impossibili con la normale luce visibile, e consentono la visione notturna. Infatti, molte creature, tra cui alcuni tipi di vipere, hanno recettori specializzati che consentono loro di "vedere" i raggi infrarossi emessi dalle prede a sangue caldo, anche nel buio più completo.

Le applicazioni delle radiazioni non ionizzanti


Il wireless e i cellulari

Tutte le tecnologie di co­municazione senza fili oggi utilizzate a partire dalle trasmissioni radiotele­visive, passando per la telefonia cel­lulare sino ad arrivare ai nuovi siste­mi Wi-Fi e WiMAX rientrano nello spettro delle onde non ionizzanti.

La maggior parte delle tecnologie di comunicazione wireless si concentra­no tra 1 MHz e 10 GHZ, e per confronto:

  • l'emissione radiofonica opera tra i 500 e i 1.600 kHz per le modulazioni di ampiezza (AM) e a circa 100 MHz per quanto concerne la modulazione di frequenza (FM);
  • le trasmissioni te­levisive terrestri occupano invece la gamma dei 300-400 MHz;
  • salendo ancora lungo lo spettro elettromagne­tico, troviamo le onde sfruttate dalle reti cellulari Gsm, le quali possono operare a 900, 950, 1800 e 1900 MHz;
  • il sistema Umts agisce invece sui 2 GHz;
  • le tastie­re e i mouse senza fili, cosi come i monitor audio e video per bambini possono spaziare dai 20 MHz ai 2,4 GHz;
  • le reti Wi-Fi sfruttano i 2,4 GHz (co­me Bluetooth) o i 5 GHz;
  • i nuovi im­pianti WiMAX possono infine opera­re sino a 66 GHz.









Tutti i campi elettromagnetici intera­giscono con il corpo umano: i mecca­nismi principali di interazione sono l'accoppiamento con campi elettrici e magnetici e il trasferimento di ener­gia (ricordando che con valori di frequenza maggiori, sarà maggiore anche l'energia in trasferimento). Tra­lasciamo le problematiche associate alle 'scosse elettriche' e ai rischi di accoppiamento con dispositivi elet­tromedicali (pacemaker) per concentrarci es­senzialmente sulla relazione tra salute e campi EM associati alle principali tecnologie Wireless dal punto di vi­sta dell'assorbimento di energia.

La normativa attuale

La normativa internazionale sui campi elettromagnetici non ionizzanti si ba­sa sulle linee guida dell'Icnirp (Inter­national Commission on Non-Ionizing Radiation Protection), istituto non go­vernativo riconosciuto dall'Organiz­zazione Nazionale della Sanità. L'Ic­nirp stabilisce dei valori limite per l'e­sposizione ai campi EM, espressi in termini di intensità del campo elettri­co (espressa in volt/metro). Al di là dei valori numerici, è importante sottolineare come queste valutazioni siano state riprese sin dal 1999 dalla Raccomandazione di Commissione Europea (Rce), la quale non ha però imposto alcuna legge ai singoli stati membri, limitandosi a consigliare op­portune misure cautelative.

In Italia l'attuale regolamentazione non prevede norme vincolanti, ma una serie di raccomandazioni emerse dal Decreto della Presidenza del Con­siglio dei Ministri (in seguito Dpcm) dell'8 luglio 2003. Per salvaguardare la popolazione dagli effetti acuti accer­tati, è stato definito un limite di espo­sizione, fissato nel caso delle bande utilizzate da telefonia mobile e Wi-Fi a 20 V/m.

Confrontando questi valori con i limiti definiti dall'Icnirp e dagli alti paesi possibile verificare come l'Italia sia stato una delle nazioni con limiti più bassi per l'esposizione ai campi EM. La misurazione dell'intensità di cam­po è efficace per controllare l'emissio­ne dei ripetitori Gsm e Umts.

Analiz­zando invece la telefonia cellulare dal punto di vista dei terminali, l'unita di misura più adatta per la definizione di limiti di sicurezza è il Sar (Specific Absorption Rate, tasso specifico di assorbimento) che si misura in watt per chilogrammi di massa corporea (W/Kg). Il Sar permette di stimare gli effetti termici della radiazione elettro­magnetica sui tessuti, evitando un ec­cessivo surriscaldamento. Per i telefo­ni cellulari l'Icnirp suggerisce un limi­te di Sar di 2 W/Kg, mediati su 10 grammi di tessuto. Per quanta riguar­da invece le reti locali senza fili e quindi le tecnologie Wi-Fi, la Racco­mandazione della Commissione Euro­pea datata marzo 2003 prevede un li­mite di potenza irradiata di 100 mW per i dispositivi operanti a 2,4 GHz e di 200 mW o 1 W per quelli che sfruttano le due bande intorno ai 5 GHz. In questo senso la differenza tra sta­zioni base per reti cellulari e access-point Wi-Fi è netta: le prime non so­no regolamentate da una norma vin­colante, ma solo dal limite di esposi­zione e dal valore di attenzione racco­mandati dal Dpcm 2003, mentre i di­spositivi Wlan, agendo su frequenze di libero uso, sono soggette a una nor­mativa inderogabile.


Le ricerche

Per verificare gli effetti dell' esposizio­ne ai campi elettromagnetici negli ul­timi 15 anni sono state effettuate cen­tinaia di ricerche; si tratta di un perio­do di tempo relativamente lungo, ma per essere efficaci alcuni studi (ad esempio su particolari tipi di cancro a sviluppo lento) devono avere una du­rata di almeno 25 anni. Per brevità verranno illustrati solo due promemoria emessi negli ulti­mi anni dall'Organizzazione Mondia­le della Sanità e dalla Comunità Euro­pea; entrambi tentano di sintetizzare i dati raccolti dalle varie ricerche e di esprimere di conseguenza delle linee guida. Nel promemoria 'Campi elet­tromagnetici e salute pubblica' del maggio 2006 l'Oms conferma in pri­mo luogo che gli unici effetti acuti ac­certati delle radiazioni non ionizzanti sul corpo umano sono di carattere ter­mico: le molecole dei tessuti, eccitate dal campo elettromagnetico, tendono infatti a innalzare la temperatura della zona esposta, con un procedimento analogo a quello sfruttato dai forni a microonde per scaldare le vivande. L'entità dell'effetto ter­mico dipende dall'intensità della ra­diazione, dalla sua frequenza e dalla durata dell'esposizione.


Effetti  termici:

Variazioni di temperatura corporea al di sotto del grado centigrado non cau­sano particolari problemi, dal mo­mento che il corpo umano può contra­starle attraverso il normale processo di termoregolazione. Tra uno e due gradi centigradi l'organismo non è più in grado di termoregolarsi e si av­vertono i primi sintomi analoghi alla febbre (riduzione attività mentale, anomalie nelle normali funzioni cor­poree). Al di sopra di questa soglia gli effetti si fanno più gravi e possono es­sere anche irreversibili.

Un parametro migliore per misurare gli effetti del campo incidente in relazio­ne ai fenomeni termici è il già citato Sar. I primi effetti di stress corrispon­dono a esposizioni prolungate nel tempo con Sar tra 1 e 4 W/Kg. Consi­derando invece il limite di 2 W/Kg raccomandato dall'Icnirp per i telefo­ni cellulari, i primi effetti termici rile­vanti si hanno per conversazioni di durata superiore ai 20 minuti e termi­nale a contatto con il cranio. In queste situazioni si consiglia quindi l'utilizzo di auricolari.


Effetti  cancerogeni:

Per quanto riguarda possibili effetti cancerogeni dell'esposizione ai cam­pi elettromagnetici a radiofrequenza, il promemoria dell'Oms delinea una mancanza di evidenza in base agli studi pubblicati negli ultimi 15 anni. Discorso analogo vale per gli altri ef­fetti studiati, a partire da disturbi a sonno e funzioni cognitive, sino a po­tenziali problemi cardiovascolari. L'Oms ricorda infine che a parità di li­vello di esposizione, il corpo umano è molto più sensibile all'emissione dei segnali radiotelevisivi, in parte a cau­sa delle frequenze in gioco e in parte per le caratteristiche fisiche del corpo umano (che, fungendo da antenna, entra in risonanza con le onde prodot­te dalla stazioni Fm). È importante ricordare infatti che, le tra­smittenti di radio e televisione sono presenti sul territorio da oltre 50 anni, senza che siano state accertate conseguenze negative per la salute.


Nonostante que­sto l'Oms ha defi­nito un programma per 'seguire gli svilup­pi' e valutare eventuali effetti sanitari che dovessero in futuro essere rilevati. Il Progetto Internazionale Campi Elet­tromagnetici (Cem) promuove questo tipo di ricerche, mentre l'Iarc (Interna­tional Agency for Research on Can­cer), agenzia dell'Oms, ha in corso una ulteriore valutazione dei rischi cancerogeni associati ai campi elettromagnetici a radiofrequenza.

Affrontando il capito­lo dei provvedimenti da adottare per limitare gli effetti dei campi elettro­magnetici, l'Oms rimanda alle linee guida dell'lcnirp. Anche la comunità Europea con il suo ultimo report che ri­sale al 19 gennaio 2009 conferma essenzialmente le considerazioni espresse dall'Oms: per quanto riguar­da le emissioni a radiofrequenza, non si rileva alcuna evidenza di rischio, anche se sono necessari ulteriori studi per stabilire effetti delle esposizioni a lungo termine (oltre i 15 anni). Nes­sun effetto è staro rilevato anche sulla riproduzione e sullo sviluppo, mentre seppure alcune ricerche evidenzino delle influenze sui tracciati ECG e sul sonno nel complesso queste rilevazio­ni mancano di coerenza e di una base statistica solida. Anche in questo caso il comitato promuove comunque l'op­portunità di nuovi studi, anche per specifico riferimento agli effetti sui bambini.





Norme e il mondo reale

La tecnologia cellulare si basa sul cosiddetto riutilizzo delle frequenze: per consentire la conversazione contemporanea di un gran numero di utenti senza interferenze, il territorio viene diviso in celle, ciascuna delle quali è servita da un'antenna fissa detta stazione radio base.

Nella vita quotidiana, quasi tutti sono esposti ai campi elettromagnetici generati sia dai telefonini sia dalle stazioni radio base. Date le distanze, le esposizioni dovute a queste ultime sono in generale bassissime, inferiori di diversi ordini di grandezza ai limiti raccomandati internazionalmente.


Curiosità: Come funziona un cellulare?

Le onde radio sono emesse e ricevute anche dai telefoni cellulari (o telefonini). Ogni apparecchio che emette e riceve onde radio occupa una banda di frequenze.

Per esempio, in Italia il primo intervallo di frequenze destinato alla telefonia mobile è compreso tra 890 MHz e 920 MHz. Ogni apparecchio che trasmette o riceve ha bisogno di una banda di frequenze ampia 0,025 MHz (per esempio quella compresa tra 890,000 MHz e 890,025 MHz, oppure quella tra 908,350 MHz e 908,375 MHz).

Così, il massimo numero di apparecchi che possono funzionare contemporaneamente è dato dal rapporto tra l'intervallo di frequenze a disposizione e l'ampiezza di una singola banda



Però gli utenti dei telefonini sono molti di più. Ciò è possibile perché, come è schematizzato nella figura seguente, il territorio è  diviso in celle esagonali (ciò spiega perché il telefonino si chiama «cellulare»).

Al centro di ogni cella c'e un' antenna che riceve e trasmette i segnali dei telefonini. Le antenne non sono molto potenti e, quindi, i segnali che esse emettono superano di poco i limiti della cella. Ci6 significa che la stessa banda di  frequenze può essere utilizzata in due celle che non siano adiacenti. Per esempio, nelle dieci celle della figura le bande numero 4,5 e 6 sono usate due volte.

 

































Come abbiamo detto in Italia le emissioni di una stazione radio base non sono sottoposte ad una normativa vincolante, ma alle sole raccomandazioni del Dpcm del 2003. L'energia emessa da una base station dipende sia dalla potenza del trasmettitore (espressa in watt) sia dal guadagno di antenna (dB). Fissa­ti questi parametri, l'intensità del campo elettrico, sul quale si basano i limiti del Dpcm, diminuisce linear­mente in funzione della distanza dal­la stazione base. Considerando i valori massimi delle potenze che i ripetitori Gsm/Umts assumono sulle reti italiane, il limite di esposizione è ri­spettato a circa 30 metri dall'emetti­tore, mentre la soglia di attenzione e salvaguardata a circa 100 metri.







Emissione tipica di una stazione base cellulare.

 














Bi­sogna poi considerare che gli appa­rati di antenna sono generalmente posti a una ventina di metri dal suolo e che la direzione di massima emis­sione e ben distante dalla verticale rendendo di fatto i limiti sempre ri­spettati al suolo.

In ogni caso, gli effetti termici provo­cati dai terminali

(i telefonini) sono molto maggiori. Il limite di Sar fissa­to dall' Icnirp a 2 W/Kg per i telefoni cellulari salvaguarda una persona in salute per telefonate sino a circa 20 minuti, oltre ai quali si rischia di su­perare la soglia di un grado centigra­do per l'innalzamento della tempera­tura dei tessuti. In caso di lunghe te­lefonate e quindi consigliabile l'uti­lizzo di un'auricolare, anche Blue­tooth (questo standard utilizza po­tenze emissive molto limitate). I te­lefoni cellulari, inoltre, dispongono di funzioni di regolazione della po­tenza di trasmissione in base alla qualità del segnale di rete captato. E quindi più sicura una rete cellulare con un numero maggiore di base sta­tion ma una copertura uniforme e a bassa potenza piuttosto che un network con meno stazioni che, oltre a trasmettere a una potenza maggio­re, offre statisticamente una co­pertura meno efficiente e quindi im­pongono ai telefonini la massima emissione elettromagnetica. Per quanto concerne le reti locali senza fili, uno studio particolarmente interessante e quello portato a termine dall'Agenzia per l'ambiente della Regione Veneto. Ef­fettuando diversi test di emissioni su access point Wi-Fi da interno per il mercato Soho e aziendale, i ricerca­tori hanno constatato come il valore di attenzione di 6 V/m sia rispettato già a poche decine di centimetri dal­le antenne. E insomma sufficiente porsi a una distanza di precauzione di 2 metri dall'access point per evita­re qualsiasi rischio.


Conclusione

I report pubblicati da Oms e Comunità Europea sottolineano come non vi sia alcuna evidenza sui potenziali effetti negativi a lungo termine delle emissioni EM, confermando d'altro canto come sia però indispensabile prose­guire nel programma di ricerca. Que­ste considerazioni lasciano il consu­matore in una sorta di limbo: non vi sono prove oggettive di rischio, ma non si possono escludere effetti a ter­mine più lungo del periodo su cui le ricerche si dipanano.




Opinioni a confronto

Per tentare di fare ancora maggior chiarezza sulle opinioni esistenti circa le relazioni tra salute e tecnologie wireless, presentiamo tre opinioni di esperti del settore:

Prof. Paolo Vecchia

Laureato in fisica, svolge da circa 30 anni attività di studio e ricerca sugli effetti biologici e sanitari dei campi EM. Già presidente dell'Associazione Italiana di Radioprotezione e dell'Associazione Europea di Bioelettromagnetismo, è attualmente Presidente Icnirp e membro del progetto Cem.


 

Prof. Settimo Grimaldi

Biofisico, è stato visiting Associate e visiting Scientist del National Institutes of Health di Betehesda. Attualmente ricopre il ruolo di primo ricercatore Cnr presso l'Istituto di Neurobiologia e Medicina Molecolare, studiando gli effetti biologici della esposizione a radiazioni non ionizzanti.

 












Dr. Henry Lai

Professore ricercatore presso il Department of Bioengineering dell'università dello stato di Washington, a Seattle. Ha effet­tuato ricerche sugli effetti biologici dei campi elettromagnetici non ionizzanti sin dal 1980, analizzando sia i campi a bassissima frequenza sia quelli a radiofrequenza.


 












L'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) sostiene che l'esposizione ai campi         elettromagnetici prodotta dai termi­nali cellulari sia nettamente superiore a quella provocata dai ripetitori. Nonostante questa molti cittadini non pos­sono fare a meno di preoccuparsi quando vedono installato un traliccio nei pressi della propria abitazione o ufficio. Sono ap­prensioni giustificate?



Paolo Vecchia

No. Non soltanto I'Oms, ma anche un gran numero di comitati di esperti e di governi nazionali hanno chiaramente affermato che le stazioni radio base non costituiscono un rischio per la salute, in quanto all'assen­za di prove di nocività dei campi elettroma­gnetici in sé si aggiunge il fatto che le esposizioni del pubblico sono estremamente basse sia in assoluto sia in rapporto a quel­le dovute al cellulare: l'assorbimento locale di energia elettromagnetica (il cosiddetto Sar) durante una conversazione e di 100-1000 volte, o più, superiore a quello dovuto a un'antenna fissa, anche vicina.


Settimo Grimaldi:

L'Oms ha provveduto ad avvertire che fi­no a quando lo studio Interphone non sarà ufficialmente reso pubblico, qualsiasi con­clusione sui rischi derivanti dall'uso dei sistemi wireless non potrà essere considerata attendibile. Io vorrei ricordare che nel rispet­to del principio di precauzione deve essere vero anche il contrario, ovvero che in man­canza di conclusioni certe non deve neanche essere attribuita alle comunicazioni wireless una assoluta assenza di rischio per gli utiliz­zatori.



Henry Lai:

Le li­nee guida sulla densità di potenza prodotta dalle stazioni base cellulari e sul tasso di assorbimento Sar che sono rispettate già a poche decine di metri dal ripetitore. Tuttavia, alcune ricerche recenti suggeriscono che sussistano effet­ti biologici anche a esposizioni a bassa intensità e per brevi periodi di tempo, e che di conseguenza le linee guida vadano aggiornate. Inoltre, non si sa ancora molto sugli effetti delle radiazioni a lungo termine. A mio parere, dunque, la potenza di tra­smissione delle stazioni base dovrebbe es­sere mantenuta al minimo in base al princi­pio di precauzione.



Parlando delle reti Wi-Fi: dal punta di vista dei terminali, le potenze emissive sono sulla carta inferiori ri­spetto a quelle dei telefoni cellulari. Non vi sono quindi rischi associabili all'utiliz­zo intensivo di queste tecnologie?


Paolo Vecchia:

Non abbiamo evidenze scientifiche di danni ai livelli di potenza tipici di tutte queste tecnologie. Gli unici effetti chiaramente individuati sono legati a un au­mento della temperatura dei tessuti, per il quale occorrono livelli di esposizione molto più alti. E' comunque ovvio che, se si ipotiz­zasse un rischio, questa dovrebbe aumenta­re con la potenza assorbita; quindi, se non abbiamo seri motivi di preoccupazione per i telefoni cellulari, a maggior ragione dovrem­mo convivere serenamente con il Wi-Fi.


Settimo Grimaldi:

Dovrebbe essere chiaro a questo punto che non possiamo ancora sciogliere i nostri dubbi sulla innocuità (o nocività) dei sistemi wireless. Anche se le potenze emissive del Wi-Fi sono inferiori a quelle della telefonia cellulare, non è possibile fare delle previsioni serie su quali possono essere gli effetti sanitari sull'uomo nella lunga distanza (10-20 e più anni di utilizzo per più ore al giorno).


Henry Lai

Per quanto concerne le tecnologie Gsm/Gprs e 3G per l'accesso a Internet, i livelli di esposizione sono molto bassi, ma spesso si prolungano nel tempo sottoponendo l'utente a radiazioni per diver­se ore al giorno. L'utilizzo di più dispositivi contemporaneamente può inoltre rendere ri­levante il livello di esposizione complessivo. Vale per ciò quanto detto per i dispositivi di connessione tramite rete cellulare, cioè che non sappiamo ancora molto sugli effetti a lungo termine di queste radiazioni.



In ambito Wi-Fi le stazioni base (ac­cess point) sono però presenti nelle case, nelle scuole e negli uffici, a distanza quin­di molto inferiore rispetto a quelle dei ri­petitori Gsm/Umts. Vi sono potenziali ri­schi associati a questi dispositivi?



Paolo Vecchia:

Se è vero che le antenne sono più vicine, è vero anche che le potenze emesse sono molto più basse. In un ambiente dove esista una rete wireless, il suo contributo all'esposizione totale e generalmente confrontabile con quello dovuto alla telefonia mobile. La ri­sposta per gli access point non è quindi di­versa da quella per le base station Gsm/Umts.


Settimo Grimaldi:

L'enorme diffusione dei sistemi Wi-Fi ol­tre che dei ripetitori Gsm/Umts porta inevi­tabilmente ad un aumento della radiazione elettromagnetica di fondo (nello spettro del­le non ionizzanti); questo porta inevitabil­mente ad un aumento della popolazione esposta (anche di quella che per sua scelta igienica non utilizza tali sistemi di comunica­zione) con un aumento del rischio potenziale.



Henry Lai:

Tutto può essere ricondotto al fatto che non conosciamo ancora esattamente quale sia con certezza il livello di esposizione li­mite, specialmente quando si parla di effet­ti a lungo termine di un'esposizione pro­lungata. Il punto focale è che i campi elet­tromagnetici, anche a bassi livelli di emis­sione, non sono completamente benigni.



Al di là della mancanza di evidenze provate, ci sono consigli pratici che si sen­te di dare agli utenti di telefoni cellulari e dispositivi wireless in ottica cautelativa?


Paolo Vecchia:

Possiamo concludere questa conversa­zione tornando al suo inizio. Nonostante le indicazioni scientifiche, esiste ancora tanta preoccupazione nel pubblico, e la preoccupazione e anch'essa un danno alla salute, come ci ricorda l'Organizzazione mondiale della sanità fin nel suo statuto.

E' quindi importante convivere serenamente con queste tecnologie e per questa l'infor­mazione ha un ruolo essenziale, dato che le paure nascono spesso da mancanza di co­noscenza o da idee distorte. Se la cautela aiuta a rasserenare, ben vengano gli aurico­lari, o l'abitudine a non usare un computer portatile sulle ginocchia; l'importante pera e che queste misure non vengano raccoman­date in nome di gravi rischi che i dati scien­tifici non hanno non dico dimostrato, ma nemmeno indicato in modo convincente.


Settimo Grimaldi:

Troppo spesso ci dimentichiamo del 'principio di minimizzazione dell'esposi­zione' ai campi elettromagnetici, principio richiamato per la prima volta dal decreto interministeriale 10 settembre 1998 n. 381, con riferimento ai campi elettroma­gnetici con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz (art. 1). Questo e uno dei principi cardine della radioprotezione: I'e­sposizione deve essere mantenuta al livello ragionevolmente più basso possibile. Tale principio e affermato, con applicazio­ne alle radiazioni non ionizzanti, nella Ri­soluzione del Parlamento europeo 5 mag­gio 1994, concernente la protezione della popolazione dai campi elettromagnetici e richiamato nella Risoluzione dello stesso Parlamento 10 marzo 1999, concernente la stessa materia. In poche parole ogni qual volta che per il raggiungimento dello stesso scopo sono a disposizione tecniche meno impattanti per l'ambiente e quindi per l'uomo, queste debbono essere prefe­rite. Quindi nel caso delle comunicazioni wireless queste non dovrebbero essere usate se non quando sia impossibile usare il cavo o la fibra ottica.


Henry Lai:

Il consiglio è quello di limitare il più possibile l'esposizione ai campi elettromagnetici. So che spesso si tratta di impresa ardua e a volte l'esposizione è indipendente dalla nostra volontà. Per quanto riguarda nello specifico i telefoni cellulari, vale la vecchia e buona regola di utilizzare un auricolare quando si telefona.




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