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Il valore del dubbio tra relativismo ontologico e relativismo gnoseologico
Tutta la filosofia occidentale ha inizio con Parmenide. Sembrerebbe alquanto strano ma nella formula "L'essere è e non può non essere, il non essere non è e non può non essere" troviamo forse l'unica e sola verità dell'universo. E' pur vero che il filosofo di Elea non sapeva spiegarsi il divenire dell'esistenza e affermava infatti l'eternità e la fissità dell'essere.
Contestatori del pensiero eleatico furono Protagora e Gorgia, i quali giunsero a conclusioni estremamente diverse. Il primo affermava che "l'uomo è misura di tutte le cose" e quindi poneva l'accento sulla molteplicità delle interpretazioni, senza mettere comunque in discussione l'essere e attestandosi su una posizione di relativismo gnoseologico. Il secondo invece estendeva il dubbio al piano dell'essere, arrivando al concetto di "relativismo ontologico", che porta al nichilismo.
E' a partire da questo errore, nato con Gorgia, che echi mistificatori arrivano nel presente che viviamo.
Se riflettiamo sul significato di relativo dobbiamo inevitabilmente concludere che esso si riferisce sempre a qualcosa di esistente. Sembrerebbe apparentemente banale, ma le grandi conquiste civili quali la democrazia, il rispetto, la giustizia etc. nascono da un atteggiamento che considera anche l'altro e hanno, per così dire, una struttura dialogica. Il dialogo, affinché sia costruttivo, implica che i due interlocutori siano messi sullo stesso livello, in modo da considerare sia la tesi dell' uno che quella dell'altro. La nostra stessa Costituzione, in rapporto ad una società aperta, considera le differenze una ricchezza da salvaguardare. Infatti uguaglianza significa che le differenze che esistono tra gli individui non possono giustificare trattamenti differenziati. Ciò è vero anche nella morale cristiana (non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te). Quindi il relativo definisce i rapporti tra tutto, parti, e verità. L'atteggiamento relativo non mira a dissolvere ogni verità, come grossolanamente si pensa, bensì a riscoprirla, attraverso il dubbio critico, che fiorisce nel confronto con gli altri. D'altra parte, non esisterebbe alcuna verità senza la sua negazione.
La Teoria della Relatività di Einstein si può considerare la seconda rivoluzione scientifica dopo quella di Galileo. La grande rilevanza delle teorie einsteiniane sta nel fatto che l'uomo diventa parte integrante delle leggi fisiche. Se prima, con Newton e la meccanica classica, si credeva che le entità di spazio e tempo esistessero indipendentemente dall'esistenza o meno dell'uomo sulla terra, con Einstein esse dipendono fortemente dall'uomo, divengono delle categorie umane del soggetto in grado di pensarle.
La crisi di certezze assolute e immutabili è un denominatore comune degli intellettuali del Novecento, che comunque approderanno a conclusioni diverse.
Sullo scenario europeo non manca chi rinuncia alla ricerca della verità, denunciando l'intera società borghese, e ravvisando in essa uno stato di decadenza e contraddittorietà troppo profondo per una qualsiasi via di salvezza. È il caso di Pirandello ed Eliot, nei quali l'idea di progresso scompare definitivamente.
I filosofi del Novecento invece fanno in conti con le intuizioni dissacranti dei "maestri del sospetto", che avevano messo in crisi la consolidata percezione della coscienza, basata sul cogito cartesiano. Inoltre si abbandona, ad esempio con Nietzsche, la ricerca epistemologica, o ci si affida al determinismo pretenzioso e sterile come nel caso di Marx e Freud.
La soluzione era arrivata già con Einstein, di cui spesso trascuriamo il pensiero e il suo senso di verità, troppo presi dalle sue scoperte scientifiche. Einstein e Popper, infatti, non abbandonano la ricerca della verità, che viene considerata un'entità in perenne mutamento e fondata sul dialogo critico, nell'orizzonte della condivisione e della solidarietà, in cui soltanto è possibile una speranza di progresso.
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