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"La nostra conoscenza trae origini da due sorgenti fondamentali dell'animo, di cui la prima consiste nel ricevere le rappresentazioni (la recettività delle impressioni), e la seconda è la facoltà di conoscere un oggetto per mezzo di queste rappresentazioni (spontaneità dei concetti).[] nessuna di queste due facoltà è da anteporsi all'altra. Senza sensibilità nessuno oggetto ci verrebbe dato e senza intelletto nessuno oggetto verrebbe pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti le intuizioni senza concetto sono cieche'. L'introduzione Kantiana all'Analitica Trascendentale (Critica della Ragion Pura) spiega l'opportuna correlazione fra la componente concettuale e quella empirica, entrambi elementi essenziali e necessari in una teoria fisica come quella della relatività ristretta apparentemente contraria alle percezioni, perlomeno del senso comune, ma, che nata dalla genialità del grande Einstein, è confermata da dati sperimentali finora non confutati. Uno dei più importanti risultati scientifici del secolo XX, la teoria della relatività (1905) realizza una trattazione unificata dei vari ambiti della fisica un tempo considerati come enti del tutto indipendenti evidenziando le varie interazioni tra il campo elettromagnetico, il campo gravitazionale e quello tecnico, fino a giungere alla cosiddetta teoria unificata dei campi.
Nello studio delle leggi della Dinamica la scelta di un sistema di riferimento costituito da una terna di assi cartesiani ortogonali (x,y,z) risulta talvolta arbitraria e rispondente all'esigenza di esprimere nel modo più semplice i risultati delle osservazioni. Si dicono inerziali i sistemi di riferimento in quiete o in moto rettilineo uniforme l'uno rispetto all'altro; in tali sistemi privilegiati, i Principi della Dinamica, e in generale tutte le leggi della Meccanica, conservano sempre la loro validità. Nel caso di un sistema di riferimento non inerziale per potere applicare i principi della Dinamica occorre considerare forze fittizie oltre quelle che vi sarebbero se il sistema fosse inerziale. Ad esempio un sistema di riferimento solidale con la Terra che ruota attorno al proprio asse e attorno al Sole non può dirsi perfettamente inerziale, sebbene le accelerazioni introdotte siano piccole e comunque trascurabili soprattutto nello studio di fenomeni di breve durata. Neppure un sistema di riferimento solidale le 'stelle fisse', modello suggerito da Newton, può essere considerato inerziale dato che anche le costellazioni variano la loro posizione. Tale problematica e la conseguente ricerca di un sistema di riferimento assolutamente inerziale condussero Einstein alla formulazione della sua teoria. Quest'ultima contiene come postulato l'impossibilità di raggiungere e quindi superare la velocità c della luce, circa 3 m/s nel vuoto, e sostituisce la trasformazione galileiana delle coordinate con una nuova trasformazione detta di Einstein-Lorentz. La trasformazione galileiana, che si ottiene da quella di Einstein-Lorentz come caso particolare, mantiene tuttavia la sua validità nello studio dei moti che hanno velocità 'molto minore' di c (v « c). In particolare dalla trasformazione di Galileo emerge che l'intervallo di tempo nel quale si verificano due determinati eventi cosi come l'intervallo di spazio fra due punti misurati in un dato istante sono sempre gli stessi per ciascun osservatore. Si consideri, a tal proposito, un evento fisico in un punto dello spazio in un preciso momento rappresentato attraverso un sistema di riferimento rispetto al quale vengono fornite le coordinate spaziali (x,y,z) e il tempo (t). Il medesimo evento osservato rispetto ad un diverso sistema di riferimento collegato, ad esempio, ad un aereo che vola al di sopra della terra è rappresentato da coordinate spazio-temporali differenti rispetto a quelle determinate precedentemente. Per chiarire quanto suddetto immaginiamo di avere due sistemi di riferimento iniziali S ed S', il secondo dotato di velocità costante v rispetto al primo, aventi medesima origine ed asse delle ascisse in comune all'istante iniziale (t = t'= O). Al trascorrere del tempo S' trasla rispetto ad S e, contemporaneamente, viene studiato il moto rettilineo di un punto.
Siano x, y, z, t ed x', y', z', t' rispettivamente le coordinate spazio-temporali del punto in moto rispetto ai due sistemi S ed S'; risulta pertanto:
x'=x-vt, y'=y, z'=z, t'=t.
Queste relazioni evidenziano l'indipendenza delle lunghezze, delle masse e del tempo rispetto ai due sistemi S ed S'. Se inoltre indichiamo con Dx e Dx' le variazioni subite rispettivamente da x ed X' nell'intervallo di tempo Dt, la prima relazione (1) assume la forma:
Dx Dx - v Dt da cui, dividendo per Dt,
Dx'/Dt=Dx/Dt - v.
Se indichiamo con u' =Dx'/Dt ed u =Dx/Dt i moduli delle due velocità del punto materiale rispetto ad S ed S', otteniamo:
u'=u - v (u=u'+v)
ovvero il teorema di Composizione delle velocità. Le considerazioni fatte fin ci conducono alla formulazione del principio di relatività di Galileo:
le leggi che governano il movimento dei corpi racchiusi in un certo spazio si conservano inalterate quando tale spazio resta immobile o si muove di moto rettilineo uniforme.
Già al termine del XX secolo si pensò di estendere il principio della relatività galileiana anche ai fenomeni elettromagnetici. Perché le onde, elettromagnetiche ed in particolare la luce potessero propagarsi era stata ipotizzata l'esistenza di un mezzo chiamato etere che riempisse tutto lo spazio, dalle proprietà fisiche di un solido, ma sufficientemente elastico e plastico cosi da potersi richiudere in seguito al passaggio di un corpo celeste. Accettando tale ipotesi, un impulso luminoso riferito ad un sistema inerziale S solidale con l'etere avrebbe velocità c, mentre per un osservatore in un sistema riferimento inerziale, solidale ad esempio con una navicella spaziale che si muove alla velocità v avrebbe, in base al teorema della composizione della velocità, come modulo della velocità c + v o c - v a seconda che il moto della navicella e quello del raggio luminoso siano equiversi o meno. Al fine di dimostrare l'esistenza dell'etere mediante l'influenza esercitata dalla direzione del moto della terra attraverso questo sulla velocità della luce, nel 1887 Michelson e Morley eseguirono un celebre esperimento che si concluse con risultati del tutto imprevisti. La velocità della luce risultava sempre, prescindendo dalla direzione del sistema inerziale e il moto dell'osservatore, uguale a c; la sperimentazione Michelson-Morley indicava anche l'impossibilità di un sistema privilegiato perfettamente inerziale, come si pensava potesse esserlo un sistema solidale con l'etere. Dall'interpretazione dell'esperimento del 1887 qualche anno più tardi scaturì la teoria della relatività ristretta di Einstein basata sui seguenti postulati fondamentali:
a) le leggi dei fenomeni fisici hanno la stessa forma matematica in tutti i sistemi inerziali;
b) la velocità della luce è una costante indipendente dal moto relativo della sorgente dell 'osservatore.
Il primo postulato amplia il principio della relatività espresso da Galileo includendo tutte le leggi della fisica (e non soltanto quelle della Meccanica), ed implica l'impossibilità, mediante misurazioni fisiche, di stabilire se un determinato sistema inerziale è fermo oppure se è in movimento rispetto ad un altro; pertanto sarà lecito parlare di moto relativo dei due sistemi. Il secondo postulato, derivato dall'esperimento di Michelson e Morley stabilisce che la velocità della luce nel vuoto è la massima possibile e, di conseguenza, viene confutata la trasformazione galileiana da cui si ricavava la teoria della composizione della velocità. Si pensi ad una persona che osservi sul treno un'automobile che si muove su una strada parallela al binario: la velocità dell'automobile in relazione al treno e quella del treno relativa all'automobile certo non risultano uguali alle velocità dei due mobili relativamente al suolo. base al II° principio di Einstein sostituendo l'automobile con un'onda luminosa la velocità (c) registrata sarà sempre la medesima. Ciò non si verifica però per una specifica qualità dell'onda luminosa, ma per l'elevata velocità di ultima. Tale affermazione implica delle precisazioni circa lo spazio ed il secondo cui le proprietà ritenute assolute e certe dalla Fisica Classica di considerare fissa la lunghezza di un oggetto in movimento e unica la scala dei tempi risultano in verità inadeguate se riferite a corpi con velocità elevata. Tra le immediate conseguenze dei due principi della relatività vi sono la dilatazione dei tempi e la contrazione delle lunghezze. Immaginiamo di accendere una lampada L ad un certo istante su un vagone ferroviario in movimento con velocità costante v. L'impulso luminoso viene registrato da due osservatori, uno solidale con il vagone, O, e l'altro posto su un marciapiede parallelo al binario, O'. L'impulso L compie per l'osservatore O il percorso LO, e per l'osservatore O il percorso LA.
L V
O A
Nel primo caso, ammettendo c,(la velocità della luce), costante, risulta
t = LO/c mentre nel secondo risulta:
t'= LA/c ; poiché LA > LO si deduce che t' > t . Per l'osservatore posto sul marciapiede nel vagone il tempo scorrerà più lentamente, ovvero: eventi simultanei per un osservatore non appaiono più tali per un altro che si allontana di moto rettilineo uniforme rispetto al primo. Deduciamo pertanto che la durata di un evento varia in relazione al sistema di riferimento scelto. In generale la differenza tra t e t' e molto piccola; ma diviene maggiore quanto più aumenta la velocità di un osservatore rispetto ad un altro. Rispetto ad O lo spazio percorso dal treno nel tempo impiegato dall'impulso luminoso per giungere dal soffino al pavimento del vagone sarà uguale al prodotto della velocità del treno (v) per il tempo t (s = vt), mentre rispetto ad O' risulterà S'= vt'. Poiche' t < t' allora risulta S < S' e, pertanto, una lunghezza misurata dall'osservatore in O' si trova accorciata rispetto a quella dell'osservatore in O relativo rispetto al primo. Questo effetto si chiama contrazione delle lunghezze. Da quanto detto appare evidente che le lunghezze e i tempi risultano dallo stato di moto relativo dei sistemi nei quali vengono misurati. In base a considerazioni di questo tipo, il fisico Lorentz interpretò il risultato dell'esperimento Michelson-Morley, secondo cui la velocità della luce è costante per qualunque osservatore, considerando la contrazione apparecchio usato, l'interferometro, dovuta al moto traslatorio della terra in direzione dello stesso movimento nel rapporto 1/ 1-v2/c2, dove v rappresenta il modulo della velocità di traslazione della Terra. Per tali considerazioni Lorentz propose nel (1904) nuove equazioni, la trasformazione di Lorentz, in sostituzione a quella di Galileo, equazioni poi corrette nel 1905 da Poincarè e adottate da Einstein nella sua teoria della Relatività ristretta. Mediante tale trasformazione è consentito il passaggio dalle coordinate x,y,z,t di un evento descritto in un sistema di riferimento S, alle coordinate x', y', z', t' dello stesso evento osservato da un sistema dì riferimento, S', animato di moto traslatorio uniforme e avente velocità di modulo v rispetto ad S. Secondo la trasformazione di Lorentz risulta:
x'=x-vt/ 1-v2/c2 y'=y ; z'=z ; t'=(t-v/c2x)/ 1-v2/c2
Attraverso la trasformazione di Lorentz è possibile ricavare l'equazione che lega fra loro la velocità u e u' di un mobile riferite rispettivamente al sistema S il sistema S', animato quest'ultimo da una velocità costante (v) rispetto al primo per cui:
u'=u-v/1-v/c2 u e u=u'+ v/1+ v/c2 u'.
Tali relazioni costituiscono insieme il sistema di composizione della velocità in forma relativistica. Il precedente teorema conferma sperimentalmente senza alcuna contraddizione il secondo principio di Einstein. Consideriamo, ad esempio, una navicella spaziale che viaggia al di sopra della Terra con velocità costante v = 2*108 m/s e ipotizziamo la presenza al suo interno di una particella accelerata (da una macchina acceleratrice) nella stessa direzione e medesimo verso del mobile e con velocità uguale a 2*108 m/s rispetto alla navicella. In base alla Dinamica classica la velocità della particella rispetto alla Terra avrebbe il valore di 4*108 m/s (essendo u = u' + v), velocità questa superiore a quella della luce. Applicando invece la formula relativistica di composizione della velocità risulta:
u=(2 108)/ l+(2 108) m/s =
108/l + 4/9 m/s = 9 108/13 m/s 108 m/s
valore non discorde al secondo postulato di Einstein. Dalla trasformazione di Lorentz si può dimostrare che se un oggetto fermo appare ad un osservatore lungo l0, allorché l'oggetto si muove con velocità v rispetto allo stesso osservatore appare accorciato nel senso del movimento assumendo la nuova lunghezza l = l0 (1- v2/c2). Anche in questo caso ad uno stesso oggetto l'osservatore in moto rettilineo uniforme attribuisce una diversa lunghezza (più piccola) rispetto ad uno in quiete. In realtà l'identità delle due lunghezze prevista dalla Fisica classica è verificabile soltanto qualora la velocità dell'osservatore sia di gran lunga inferiore a quella della luce (v«c), in tal caso infatti si ha K 1 e pertanto e l lo. Quanto appena descritto rappresenta un ulteriore esempio di contrazione di una lunghezza quantificata però mediante l'equazione di Lorentz, con cui è possibile, tra l'altro, anche determinare il valore della dilatazione del tempo. Ipotizziamo di sincronizzare due orologi identici, uno dei quali ad un certo istante comincia a muoversi di moto rettilineo uniforme con velocità v, indicando con to il tempo segnalato dal primo orologio e con t il tempo del secondo orologio risulta t = to 1- v2/c2. Da tale relazione risulta che se v c allora è sempre t>to, ovvero in moto appare quindi più lento di uno fermo. La differenza fra i due è apprezzabile solo se v è confrontabile con c, altrimenti, se v«c, come previsto dalla fisica galileiana, essendo K 1 risulta t to. Conferma sperimentale della dilatazione del tempo con il moto proviene anche dallo studio di un particolare tipo di il mesone, il mione, o mesone m, una particella elementare avente carica uguale a quella dell'elettrone positiva o negativa (m o m ) e massa 270 volte maggiore dell'elettrone, presente nei raggi cosmici. Questa particella è radioattiva, cioè si disintegra spontaneamente dando origine a un elettrone e a due neutrini dopo una vita media di 2,2 10-6 secondi. Ammettendo che essa viaggi ad una velocità uguale a quella della luce potrebbe, considerata la durata media della sua vita, percorrere un tragitto pari a:
10-6 S (t) 108 m/s (v) 660m (s).
Da ciò non risulta possibile spiegare come i mesoni, pur provenendo dagli spazi interstellari (almeno 10 Km di altezza), giungano fino a noi; infatti per percorrere tale spazio dovrebbero avere una vita media di:
m (s)/3 108 m/s (v) 10-4 s (t).
Risulta quindi necessario ammettere l'effetto relativistico della dilatazione del tempo concludendo che per un osservatore terrestre il mesone m vive per un tempo considerevolmente più lungo. Un'ulteriore conseguenza della trasformazione di Lorentz e della teoria della relatività di Einstein è rappresentata dai dubbi sollevati circa la validità del principio di conservazione della massa, già intuito, in età cesariana da un punto di vista filosofico, dal poeta romano epicureista Lucrezio ed espresso nella sua maggiore opera, De rerum natura, ('Le cose non possono nascere dal nulla e non possono scomparire'), principio poi stabilito su di una base scientifica dal chimico A. Lavoisier. La conclusione fondamentale a cui giunse Einstein nella sua ricerca fu che le leggi della fisica classica possono mantenere la loro validità a condizione di ridefinire la massa m di una particella in moto a velocità relativistica. In tal caso detta mo la massa della particella a riposo la massa della stessa particella in moto con velocità v è m = mo/ 1- v2/c2. Brillanti scienziati hanno condotto verifiche sperimentali che confermano tale l'equazione: Kauffmann, impegnato in esperimenti con elettroni di alta energia e raggi b emessi da sorgenti radioattive (1909), Bucherer, Neuman. Esempio di sperimentazione è costituito dalla deflessione degli elettroni di alta energia in un campo magnetico e la misurazione del raggio di curvatura della loro traiettoria circolare determinata dalla forza centripeta (F = mv2/r con F e v noti). A velocità ordinaria la differenza fra m e mo è troppo piccola per essere misurata. L'equazione della variazione della massa con la velocità permette di comprendere come la velocità della luce rappresenti una velocità limite. L'azione permanente di una forza costante su un corpo determinerebbe secondo la Dinamica classica un continuo aumento della velocità, che potrebbe superare anche quella della luce. In base alla Dinamica relativistica invece ciò non può accadere in quanto, nel caso prima descritto, il corpo continua ad innalzare la propria quantità di moto non subendo incremento di velocità, bensì incremento di massa. Da un punto di vista algebrico, se potesse essere v > c il radicale non avrebbe alcun significato, mentre è possibile ammettere soltanto che m/mo tenda ad e v/c tenda ad 1. In seguito a tali conclusioni è prevedibile che l'espressione dell'energia cinetica (Ec) di una particella relativistica - che secondo la Meccanica classica è data da Ec =1/2 mo v2 - debba essere modificata essendo la velocità della particella confrontabile con quella della luce. Attraverso opportuni calcoli per una particella si ricava:
Ec = mo c2(1/ 1- v2/c2 -1), la stessa equazione si trasforma in quella della Dinamica classica qualora V«C. Dalle considerazioni circa l'energia cinetica delle particelle deriva un importante risultato della fisica relativistica, il celebre Principio di equivalenza massa - energia. L'idea fondamentale di tale principio - l'equivalenza fra massa ed energia cinetica - è data dalla relazione m = mo/ 1- v2/c2 per cui sostituendo mo con m 1- v2/c2 risulta Ec = mc2 - moc2 da cui mc2 = Ec + moc2 . Da quest'ultima equazione si può affermare che un corpo fermo possiede un'energia (m0 c2) detta energia di riposo in virtù della sua massa di riposo. In una particella la somma dell'energia intrinseca o di riposo (moc2) e l'energia cinetica rappresenta l'energia totale della particella stessa: E = mc2, dove m è la massa relativistica. Per il principio di equivalenza di Einstein pertanto se in una data reazione scompare (o si produce) una massa, m, allora si libera (o scompare) nello stesso tempo una certa quantità di energia pari a E = m c2. La geniale intuizione di Einstein, apparentemente contraria ai principi classici, è oggi confermata da numerosi processi quali la fissione nucleare, l'annichilazione tra una particella e la rispettiva antiparticella (elettrone - positrone; protone - antiprotone), la materializzazione dei fotoni o raggi g g gT e- + e+), le reazioni termonucleari. Il fisico Alben Einstein, nato in Germania, poi cittadino svizzero e quindi statunitense (Ulm 1879 Princeton, New Jersey 1955), contribuì più di qualsiasi altro scienziato alla moderna visione della realtà fisica del secolo XX. Le sue teorie, specialmente quella della relatività, sembrano a molte persone la via per giungere a una qualità di pensiero libera e incontaminata, caratteristica che la guerra e le sue conseguenze avevano quasi completamente eliminato. Raramente uno scienziato ha suscitato tanto interesse nell'opinione pubblica per la sua dedizione all'accrescimento della conoscenza.
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