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La cosmologia nasce quando l'uomo incomincia a porsi le grandi domande che riguardano la propria collocazione nell'universo, l'origine e la fine dell' universo stesso.
La cosmologia è per definizione "scienza del Tutto". Questa definizione
soffre tuttavia di una limitazione fondamentale: non tutte le cose che appaiono
nell'universo sono percepibili o osservabili con gli strumenti attualmente in
nostro possesso e dobbiamo per forza di cose limitarci a considerare solamente
quelle che sono, sia pure indirettamente, accessibili o ipotizzabili. Ne segue
che ogni concezione dell'universo risente del contesto storico in cui è stata
formulata e che quello che nel passato era considerato come l'intero universo
appare oggi solo come una piccola parte, infima, del tutto. Non possiamo quindi escludere che lo stesso
destino attenda la pur grandiosa
macchina cosmica dell'universo attuale.
L'universo geocentrico di Aristotele era eterno e supponeva che tutti i corpi si muovessero intorno alla Terra lungo orbite circolari.
Nel II secolo d.C. lo schema aristotelico fu ripreso da Tolomeo che lo strutturò in una serie di sfere concentriche, fatte di quintessenza: il "quinto elemento", ( il mondo fenomenico, costituente i corpi celesti) e di epicicli, ossia di cerchi minori in movimento lungo le sfere principali.
Il modello di Tolomeo fu infine incorporato da Tommaso d'Aquino nella visione cristiana del mondo. Nella cosmologia di San Tommaso l'universo perde la sua immutabilità perché creato da Dio e lo stesso Dio continua a essere presente nel cosmo come motore immobile della sfera delle stelle fisse che trascina con sé le altre.
Questo modello, che è in effetti una sintesi di quello biblico e di quello aristotelico, regnò incontrastato fino a quando Buridano mosse nel Trecento una prima critica sostenendo che il moto delle stelle non era mantenuto dell'intelligenza divina, il dantesco "amor che muove il sole e le altre stelle", bensì dalle stesse leggi che governavano il moto dei corpi materiali sulla Terra.
Un'altra critica fu formulata da Giordano Bruno e da Digges con la transizione dall'universo finito all'universo infinito e privo di centro; lo stesso Bruno pagò con il rogo questa idea, contraria a quella cristiana, che le stelle fossero dei soli posti a grandissime distanze.
Il sistema eliocentrico, cioè il sistema che pone il Sole al centro del mondo, fu proposto in forma anonima dal canonico Niccolò Copernico nel 1514 e successivamente venne sostenuto sia da Galileo Galilei che da Keplero. Nel 1606 Galileo, usando il cannocchiale, scoprì i satelliti di Giove e inflisse un colpo mortale al sistema tolemaico.
Keplero tentò invano di dedurre le orbite dei pianeti da solidi platonici e non fu mai entusiasta delle orbite ellittiche da lui stesso scoperte, giudicandole meno perfette di quelle circolari. La scoperta del cannocchiale espanse i limiti dell'universo al di là di quanto era immaginabile per Tolomeo.
Galileo fu il primo a rendersi conto che la Via Lattea era un immenso aggregato di stelle.
La pubblicazione nel 1687 dei Philosophiae naturalis principia matematica (Principi della filosofia naturale) di Newton rimane uno degli avvenimenti più significativi nella storia della scienza e in particolare della cosmologia. In quest'opera Newton diede corpo alle critiche di Buridano, propose una teoria del moto dei corpi ed elaborò il calcolo infinitesimale che ne era la controparte matematica. Inoltre Newton postulò quella legge della gravitazione universale che ancora oggi rende conto con grande precisione del moto dei corpi celesti. Lo stesso Newton ebbe ben chiara la scala di grandezze della nuova cosmologia e stimò in alcuni anni luce la distanza delle stelle più vicine.
Herschel cominciò lo studio sistematico della Galassia e passò alla storia dell'astronomia scoprendo il pianeta Urano. Il suo successo spinse altri astronomi alla ricerca di altri pianeti; ben presto risultò però evidente che nel firmamento esistevano oggetti che non erano stelle, ma che potevano essere scambiati per pianeti da osservatori inesperti. Il francese Charles Messier compilò nel 1783-1784 un catalogo che comprendeva un centinaio di questi oggetti, per lo più ammassi globulari appartenenti alla nostra galassia. Il trentunesimo oggetto della lista, chiamato M31, è la famosa nebulosa di Andromeda, visibile ad occhio nudo.
Galassia M31
Sulla natura di questi oggetti fiorirono polemiche. Secondo alcuni erano stelle giganti, appiattite dalla loro rapida rotazione; per altri si trattava di zone della sfera delle stelle fisse in cui questa era così sottile da lasciar intravedere le luci celesti che ardevano dall'altra parte.
Immanuel Kant sostenne, in questo forse influenzato da Thomas Wright, che le nebulose ellittiche erano sistemi di molte stelle paragonabili alla nostra galassia e così distanti da non essere percepibili se non nel loro insieme. Per questi insiemi di stelle Alexander von Humboldt coniò il nome di "universi isola".
Alla fine del XIX secolo fu chiaro che alcune nebulose erano gassose e soggette a rapidi cambiamenti e mal si adattavano alla concezione kantiana.
La costruzione dei primi telescopi giganti ad opera di Lord Rosse permise tuttavia di scoprire la struttura a spirale di altri oggetti ( come M51 e Canes Venatici) insieme con altre caratteristiche che ben si addicevano a sistemi di stelle, ipotesi poi confermata da J. Scheiner con un'analisi accurata dello spettro di M31.
Galassia M51
Il catalogo di Messier contiene oggetti quanto mai disparati: ammassi stellari, nebulose gassose e galassie e non dobbiamo stupirci per la confusione di idee che regnava alla fine del Settecento.
Collegato al tema dell'infinità dell'universo è il famoso paradosso di Heinrich Olbers proposto nel 1832 ma risalente a Jean-Philippe Loys de Chesseaux, un astronomo svizzero che lo discusse nel 1724.
Se l'universo fosse infinito e statico e se le stelle fossero distribuite uniformemente si potrebbe facilmente provare che procedendo in linea retta in una direzione qualsiasi si finirebbe sempre per incontrare la superficie di una stella. Ne segue che all'occhio umano il cielo dovrebbe apparire dovunque luminoso quanto la superficie di una stella, in contrasto con l'oscurità delle notti.
La soluzione originale proposta da De Cheseaux e Olbers, secondo cui lo spazio interstellare era pieno di fluido opaco che assorbiva la luce delle stelle, si dimostrò ben presto non valida. In poco tempo il fluido verrebbe infatti riscaldato entrando in equilibrio termico con le stelle ed emettendo luce al pari di queste.
Come fece notare il fisico e astronomo britannico Lord Kelvin, la distanza media a cui si avrebbe la certezza di incontrare la superficie di una stella è dell'ordine di 10^ 15 anni luce, per cui la luce della stella impiegherebbe un tempo variabile fino a 10^15 anni per giungere sulla Terra, ovvero all'incirca un milione di volte la vita media di una stella che è di alcuni miliardi di anni. Non è quindi possibile far sì che la luce di tutte le stelle giunga sulla Terra nello stesso istante se le fluttuazioni negli arrivi superano di gran lunga la durata dell'emissione.
Neppure l'asserzione che il cielo notturno è buio è corrispondente al vero: un essere che percepisca le onde radio millimetriche e quindi la radiazione fossile di Gamow derivante dal big bang lo vedrebbe come uniformemente luminoso e non ci sarebbe paradosso. D'altra parte gli astronomi sono rimasti a lungo perplessi sul meccanismo di emissione stellare. Se questa fosse stata di natura chimica o gravitazionale, come sosteneva Helmholz nel 1854, la durata della vita di una stella avrebbe raggiunto al più alcune decine di milioni di anni, in netto contrasto con i dati geologici. Una vita così breve creò d'altra parte serie difficoltà all' evoluzionismo darwiniano.
Oggi si pensa che l'energia stellare tragga origine da reazioni nucleari che innalzano a circa 10 miliardi di anni la vita del Sole, un valore del tutto compatibile con i dati empirici. L'ipotesi di uno spazio infinito è stata fonte di trabocchetti che nel passato hanno tratto in inganno anche gli ingegni più eccelsi. Un ammasso stellare non è stabile, presto o tardi la maggior parte delle stelle che lo compongono finirebbero per riunirsi in un unico oggetto. Non si comprendeva come potesse essere stabile l'universo se tutte le sue parti si attraggono. Secondo Newton l'universo infinito non aveva centro ed evitava così il collasso. In realtà non sarebbe stato comunque stabile, perché un piccolo addensamento locale avrebbe creato le condizioni per la propria crescita destabilizzando l'intera struttura. Lo stesso problema si ripresento più tardi ad Einstein, che incorse in un errore molto simile.
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