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Oggi il problema del costituirsi delle grandi strutture gravitazionali (galassie, ammassi e superammassi) a partire dal plasma di particelle primordiali è tornato prepotentemente all'attenzione degli astrofisici. Si ritiene che le galassie si siano formate tra 100 milioni ed un miliardo di anni dal Big Bang, ma le modalità dei processi di aggregazione gravitazionale è a tutt'oggi oggetto di accesa discussione.
Attualmente la maggior parte dei modelli ipotizza che si siano formate per prime le strutture gravitazionali su piccola scala (galassie) e che, solo in seguito, queste si siano organizzate su scale via via superiori (ammassi e superammassi). Tale schema generale è detto "a salire" (bottom-up) ed è stato introdotto per la prima volta da Peebles alla fine degli anni '60.
Lo schema opposto, in cui si formano prima le strutture gravitazionali più grandi (superammassi) che poi si frammentano su scale via via inferiori, è detto "a scendere" (top-down). Proposto inizialmente da Zel'dovich (modello a frittelle, con i superammassi che collassano a formare pancake) oggi riscuote poco successo.
I primi modelli si affidavano a fluttuazioni nella materia barionica le quali, raggiunta una certa densità, erano in grado di collassare gravitazionalmente.
Attualmente i modelli a sola componente barionica sono stati abbandonati, essenzialmente perché hanno tutti il difetto di iniziare troppo tardi, dopo che la materia si è disaccoppiata con la radiazione. Prima che ciò avvenisse i fotoni, interagendo continuamente con la materia, dissipavano qualsiasi fluttuazione di densità barionica. Il plasma di protoni, neutroni ed elettroni di cui era costituito l'universo primordiale veniva infatti mantenuto omogeneo dalle interazioni con i fotoni che impedivano la crescita delle fluttuazioni di densità.
Così le perturbazioni primordiali rimasero per così dire congelate in seno alla materia ordinaria fino al momento del disaccoppiamento, senza aver poi il tempo di trasformarsi nelle strutture gravitazionali osservate.
I cosmologi cominciarono quindi a pensare che l'unico modo per ovviare a questi inconvenienti fosse ipotizzare l'esistenza di un qualche tipo di materia in grado di produrre fluttuazioni di densità molto precocemente nella storia dell'universo. Tale materia avrebbe dovuto evidentemente possedere la caratteristica di interagire con la radiazione in modo meno intenso di quanto non facciano i barioni, in modo da disaccoppiarsi in tempi precedenti.
I primi candidati a rappresentare tale materia sono stati i neutrini
Essendo insensibili alla radiazione elettromagnetica ed interagendo solo debolmente con la materia le fluttuazioni di densità interne ai neutrini poterono dunque prodursi in tempi anteriori a quanto previsto per le fluttuazioni barioniche.
Naturalmente i modelli a dominante neutrinica prevedono che quando i barioni si disaccoppiarono dalla radiazione poterono essere attirati gravitazionalmente dagli addensamenti neutrinici.
Le simulazioni al computer effettuate su modelli a dominante neutrinica dimostrarono però che tali modelli producevano universi in cui la materia tendeva ad aggregarsi in modo eccessivo a livello dei superammassi, lasciando lo spazio eccessivamente vuoto di materia alle scale minori, in modo assolutamente difforme rispetto a quanto osservato. I modelli a dominante neutrinica non erano ad esempio assolutamente in grado di giustificare il formarsi delle galassie sferoidali nane che si andavano scoprendo su piccole scale.
Modelli a materia oscura fredda
Quel che sembrava necessario era un tipo di materia che diventasse non relativistica (o come si definisce normalmente 'fredda') ancora prima dei neutrini.
Si iniziò dunque a parlare di 'materia oscura fredda', in contrapposizione alla 'materia oscura calda', i cui prototipi erano naturalmente i neutrini relativistici.
Finora le prove di simulazione al computer fondate su universi dominati da materia oscura fredda offrono una buona approssimazione con i dati osservativi alle diverse scale.
Il problema fondamentale dei modelli a materia oscura fredda è che sono fondati su particelle la cui esistenza è puramente teorica. Vi sono diversi tipi di particelle teoriche che presentano caratteristiche che le rendono adatte a rivestire il ruolo di materia oscura fredda. Ricordiamo gli assioni e i monopoli magnetici
Alcune di queste particelle, come il monopolo, sono presi in considerazione perché oltre ad interagire debolmente con la materia diventano 'fredde' e quindi lente molto precocemente perché possiedono masse piuttosto elevate. Questo tipo di particelle è oggi accomunato dalla sigla WIMP 'weakly interactive massive particles' (particelle massive debolmente interagenti).
Legato alla formazione delle grandi strutture gravitazionali vi è infine un ultimo problema che sembra aver trovato soluzione solo recentemente.
Secondo i cosmologi infatti le fluttuazioni di densità nella materia primordiale devono aver lasciato qualche 'segno' sulla radiazione di fondo.
Nelle regioni in cui la materia iniziava ad addensarsi l'effetto gravitazionale avrebbe dovuto 'strappare' energia ai fotoni (red-shift gravitazionale) e la radiazione di fondo dovrebbe apparire in tali regioni relativamente fredda. Questa struttura a 'macchie termiche' dovrebbe essere inoltre sopravvissuta fino ai giorni nostri, divenendo una specie di fossile dei primi aggregati gravitazionali in via di formazione.
Ma fino a qualche anno fa il fondo a microonde appariva straordinariamente omogeneo, mettendo in qualche modo in discussione lo stesso modello cosmologico del Big Bang.
Solo nel 1992 i dati provenienti dal satellite COBE (Cosmic Background Explorer), lanciato verso la fine del 1989 dalla NASA, sembrano confermare l'esistenza di fluttuazioni di temperatura nel fondo a 3K pari a circa 30 milionesimi di kelvin. Trattandosi di valori al limite della sensibilità strumentale del COBE i dati sono tuttora oggetto di controverse interpretazioni.
L'esigenza di giustificare la formazione degli addensamenti gravitazionali primordiali al di fuori delle fluttuazioni barioniche è un elemento a favore della probabile esistenza di materia oscura non barionica.
Vi sono comunque diverse altre considerazioni che portano a ritenere che la materia barionica visibile non contribuisca che per una frazione minima alla massa totale dell'universo.
Storicamente il primo a postulare l'esistenza di una materia non luminosa, in seguito chiamata 'materia oscura', fu Zwicky nel 1933. Analizzando le velocità reciproche delle singole galassie appartenenti all'ammasso in Coma (Chioma di Berenice), scoprì che le galassie si muovevano troppo velocemente per restare gravitazionalmente legate. In altre parole, se l'unica massa presente fosse stata quella calcolata sulla base della quantità di luce emessa dalle galassie, queste si sarebbero dovute separare già da molto tempo. L'unica spiegazione possibile secondo Zwicky era ipotizzare l'esistenza di una materia non luminosa e quindi non visibile, in grado di trattenere gravitazionalmente le galassie.
I dati più significativi e meglio documentati sull'esistenza della materia oscura ci vengono però dallo studio della velocità di rotazione delle galassie a spirale.
La materia luminosa in una galassia a spirale è concentrata in gran parte nel nucleo e va poi rarefacendosi man mano che ci spostiamo verso la periferia. In tali condizioni le galassie dovrebbero comportarsi come un sistema kepleriano, in modo del tutto analogo a quanto fa il sole con i suoi pianeti. Così la velocità degli oggetti galattici periferici (stelle, ammassi stellari, nebulose etc) dovrebbero decrescere all'aumentare della distanza dal nucleo galattico, secondo quanto previsto dalla terza legge di Keplero. In realtà si osservano velocità periferiche praticamente indipendenti dalla distanza dal centro. Il dato può essere facilmente spiegato se si ammette l'esistenza di una materia non luminosa la cui densità invece di decrescere rapidamente all'aumentare del raggio si riduce più lentamente in tutte le direzioni, formando un immenso alone sferico che si estende molto oltre i confini visibili della galassia.
Sostituendo nella terza di Keplero la velocità V al periodo di rivoluzione si ottiene
Se ipotizziamo che la maggior parte della massa sia concentrata nelle regioni centrali (molto luminose), possiamo allora ritenere che al crescere del raggio il secondo membro di tale relazione rimanga costante.
Al crescere del raggio la velocità di rivoluzione intorno al nucleo galattico dovrebbe pertanto decrescere drasticamente. I dati sulle velocità di rivoluzione di oggetti esterni all'orbita solare (nubi di CO, galassie satelliti, ammassi globulari) dimostrano invece che la velocità di rivoluzione rimane praticamente costante (pari a quella del sole) fino ad una distanza circa 10 volte superiore rispetto a quella che separa il sole dal centro galattico.
E' dunque evidente che affinché V (e quindi anche V ) rimanga costante al crescere del raggio R, è necessario che rimanga costante anche il rapporto M/R.
Ciò significa che la massa non può più essere considerata costante, ma il suo valore cresce proporzionalmente con il raggio (M R). Ciascun guscio sferico di spessore dR che si aggiunge ai precedenti, man mano che ci allontaniamo dal centro galattico deve contenere quindi la stessa massa. Inoltre, Poiché il volume di tale guscio cresce secondo il cubo del raggio, la densità della materia in ciascun guscio deve diminuire secondo il quadrato del raggio ( R
La conseguenza di tale distribuzione di materia non emittente (o troppo debolmente emittente) è che in un raggio circa 10 volte superiore alla distanza sole - centro galattico deve essere contenuta 10 volte la materia contenuta nella porzione interna all'orbita solare.
La presenza di aloni di materia oscura è stata confermata dall'analisi delle curve di rotazione di altre galassie e dalla stima del rapporto M/L per strutture gravitazionalmente legate come coppie di galassie, gruppi ed ammassi. L'applicazione del teorema del viriale a tali strutture sembra indicare che il rapporto M/L tenda a crescere man mano che analizziamo strutture a scale più grandi. Il suo valore passa infatti da 100-200h per coppie di galassie, a 200-300h per gruppi, fino a 300-400h per gli ammassi galattici. Il valore sembra poi stabilizzarsi a scale superiori (supercluster).
Se dunque accettiamo prudenzialmente un rapporto M/L dell'ordine di 300h troviamo che la materia presente nell'universo rappresenta circa il 20 % di quella necessaria per chiuderlo (1400h).
Recentemente alcune osservazioni effettuate dal satellite Rosat (Röntgen Satellite), lanciato dalla NASA nel 1990, sembrerebbero confermare in modo eclatante l'esistenza della materia oscura. I suoi strumenti sensibili alla radiazione infrarossa hanno individuato una gigantesca nube di gas caldo, posta tra tre galassie a circa 150 milioni di anni luce. Poiché una nube così calda non può essere in alcun modo trattenuta gravitazionalmente dalla massa visibile delle tre galassie, essa sarebbe evaporata già da molto tempo se non fosse tenuta insieme dall'influenza gravitazionale di una quantità enorme di materia oscura .
E' stato così possibile stabilire che la materia oscura in grado di esercitare effetti gravitazionali misurabili sulle galassie e sugli ammassi di galassie dovrebbe essere circa 20 volte più abbondante della materia luminosa.
Tenendo presente che la materia luminosa rappresenta, secondo le stime odierne circa l'1% della massa necessaria per chiudere l'universo, se si prende in considerazione anche l'apporto della materia oscura si raggiunge un valore del parametro di densità pari a circa 0,2.
La materia oscura rilevata tramite i suoi effetti gravitazionali non dovrebbe comunque essere presente sotto forma di gas diffuso, poiché in questo caso si dovrebbero percepire evidenti effetti di assorbimento sulla luce che ci proviene dagli oggetti lontani, in misura tanto maggiore quanto più sono distanti.
Si ritiene invece che tale materia oscura possa essere presente sotto forma di pianeti delle dimensioni di giove, stelle morte (nane nere e buchi neri) ed altri corpi collassati costituiti da materia troppo debolmente emittente per essere osservata.
Abbiamo già visto che questo ed altri problemi connessi al modello standard del big bang sono stati in parte risolti con l'introduzione del modello inflazionario. Ma il modello inflazionario prevede che oggi sia proprio pari ad 1.
Finora siamo dunque riusciti a portare il parametro di densità a valori intorno a 0,2 (materia luminosa + materia oscura che manifesta effetti gravitazionali). Attualmente vi è la convinzione diffusa che il rimanente 0,8 che manca all'appello per chiudere l'universo (per portare ad 1) debba essere costituito da materia non barionica (materia esotica).
Il ragionamento nelle sue linee essenziali è il seguente:
1) l'inflation dimostra che deve essere uguale ad 1 e che quindi la densità effettiva deve essere uguale alla densità critica
2) L'abbondanza di He e deuterio attualmente osservata risulta compatibile solo con un rapporto fotoni/barioni pari a circa 10
3) Poiché la densità fotonica attuale è misurabile con ottima approssimazione (412 fotoni/cm ), possiamo agevolmente ricavare da essa la densità barionica corrispondente a 10
Essa risulta pari a circa 4 10 barioni/cm
Moltiplicando per la massa di un protone (1,67 10 g) otteniamo la densità barionica, espressa in grammi, compatibile con l'abbondanza misurata di He e Deuterio, pari a 6,9 10 g/cm
4) Tale valore risulta essere da 1 (per h = 0,5) a 2 (per h = 1) ordini di grandezza inferiore della densità critica (c = 1,88 10 h g/cm
5) Se ne dovrebbe quindi dedurre che la massa mancante debba essere costituita da materia non barionica.
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